Ormai si parla ogni giorno di web 2.0, anzi qualcuno è lanciato sul 3.0, ma i dati Istat divulgati a fine 2010, sono purtroppo ancora oggi desolanti. Ad oltre 16 anni dal debutto di internet, 6 imprese italiane su 10 possono dire di avere un sito web proprio. La cosa invece si fa drammatica quando al classico ‘sito vetrina’ si verifica quanti hanno aggiunto anche servizi, come cataloghi o listini online (4 su 10) i servizi più avanzati sono addirittura una chimera, solo 1 su 10 permette la personalizzazione di servizi, prodotti, order entry o accesso a servizi di post-vendita. Riproponiamo quindi un tema, il web 2.0, ha rappresentato il passaggio dalla comunicazione alla possibilità di colloquio con il proprio pubblico di riferimento, da un processo monodirezionale ad uno bidirezionale. Un processo che va ben oltre l’adozione di strumenti software in ambiente web, ma che implica un vero e proprio processo di crescita culturale aziendale, un presidio degli strumenti online, per poter rispondere tempestivamente. La cosa non si risolve semplicemente creando uno spazio aziendale su un social-network, che sia Facebook o Linkedin, e così troviamo l’azienda metalmeccanica con un profilo Facebook con 4 ‘amici’ e l’ultimo post vecchio di 2 anni, a questo punto meglio non esserci. Una evoluzione in ottica web 2.0 implica il rispetto di alcune regole fondamentali: – comunicare nei modi e nei luoghi coerenti con il proprio pubblico di riferimento; – presidiare gli strumenti di interazione sul web; – monitorare il ‘buzz’ (*) perché non sempre si parla dell’azienda e dei suoi prodotti nei luoghi che sono stati predisposti dall’impresa stessa; – avere una policy corretta e coerente per gestire gli ‘eventi avversi’ nelle comunicazioni con il pubblico; – offrire contesti di operatività B2B e B2C che semplifichino le interazioni con i propri clienti. Condurre una azienda nel mondo del web 2.0, implica successivamente misurarsi con concetti come awareness e reputation, ed in questo ambito una impresa può attrezzarsi al proprio interno, oppure delegare ad una struttura esterna il presidio di questi servizi, beneficiando di una serie di aspetti positivi per l’azienda: costi certi, professionalità adeguate ai bisogni, tempi di risposta certificati e verificabili. Internet è il media a più elevata misurabilità della redemption, giusto per fare un esempio: “posso solo presumere che una pagina pubblicitaria pubblicata su una rivista che vende 50.000 copie e con una readership di 150.000 lettori, nulla potrà mai assicurarmi che di quei 150.000 utenti una data quota percentuale si è soffermata sulla pagina advertising specifica, discorso analogo vale per le pubblicità televisive, come potrei fare ad essere sicuro che le persone davanti alla tv, al momento dello spot, sarà davanti al video e non approfitterà di quel momento per dedicarsi ad altro…” Sono invece sicuro che i 36.104.462 utenti che hanno guardato il video di Evian sul canale di Youtube.com erano incollati davanti al monitor del loro pc, la redemption di una campagna ‘viral’ di questo su internet è di gran lunga più significativa e misurabile rispetto a qualsiasi altro strumento media. In Italia, è ragionevole presumere, che a fronte della crisi, in realtà le aziende stiano perdendo terreno competitivo, dal punto di vista dell’advertising e delle possibilità di penetrazione sul mercato per colpa del gap digitale rispetto agli altri principali competitors a livello europeo e mondiale.